27 novembre 2012

Museo Nazionale Etrusco


Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia è un luogo che ospita reperti appartenenti alla civiltà etrusca ed è stato fondato nel 1889 con la funzione primaria di collezionare le opere appartenenti al periodo precedente la fondazione di Roma e che riguarda le zone del Lazio, dell’Etruria Meridionale e dell’Umbria, nonché i popoli della civiltà etrusca.

Ninfeo
All’interno del museo la collezione ha un ordinamento di tipo geografico, e tra le opere più importanti si trova il noto Sarcofago degli Sposi di Cerveteri, monumento funerario in terracotta risalente al VI secolo a.C. e rappresentante una coppia di sposi a grandezza quasi naturale, ma anche la statua di Apollo di Veio, sempre dello stesso periodo temporale.
Il luogo ospita inoltre delle raccolte storiche di notevole prestigio, come la Castellani, una collezione, di ceramiche bellissime, pezzi preziosi di oreficeria e bronzi; ma anche la pregiata collezione Barberini e quella Pesciotti.
Si possono ammirare ancora nel Museo gli affascinanti resti del tempio etrusco di Alatri, oltre alla sua ricostruzione, la Cista Ficoroni (cofanetto in rame la cui funzione sarebbe quella di portagioielli) le Tavolette di Pyrgi (bellissima testimonianza di un testo Etrusco-Fenicio) ed uno splendido altorilievo rappresentante alcune scene prese dal mito dei Sette contro Tebe, dove Tideo si accinge a mangiare il cervello di Melanippo.

25 novembre 2012

Villa Sciarra


Villa Sciarra si trova tra il centro storico del quartiere di Trastevere e di quello del Gianicolo, ed è delimitata dalle Mura Gianicolensi, da via Calandrelli e Via Dandolo.


In origine, la villa, era occupata da una florida vegetazione di orti e giardini, ed  in base a fonti leggendarie questo territorio era definito come bosco sacro della ninfa Furrina, in cui si fece uccidere Gaio Gracco dal suo schiavo Filocrate.
In seguito, questo luogo entrò a far parte del cosiddetto Horti Cesaris dove, sempre secondo la leggenda, qui Cesare ospitò Cleopatra, durante il suo soggiorno nell’urbe.

All’interno di quest’area si trova anche il santuario delle divinità siriache, caratterizzato da tre parti principali: un cortile rettangolare in posizione centrale, una parte dell’ambiente con pianta mistilinea situata nel lato destro del cortile centrale ed infine un ambiente sito alla sinistra del cortile con un atrio che precede un edificio a forma di basilica.
La proprietà di questo terreno, dopo varie vicende, nel 1575 appartiene a monsignor Innocenzo Malvasia, ma nel 1614, passa di proprietà a Gaspare Rivaldi; in seguito l’area fu acquisita da Antonio Barberini che si occupò di un restauro completo del terreno. Acquistata successivamente dalla famiglia Ottoboni, tornò di nuovo nella mani della famiglia Barberini, e precisamente in quelle di Cornelia Costanza Barberini, moglie di Giulio Cesare Colonna di Sciarra, che ne ha permesso dopo l’eredità alla famiglia Sciarra.



Oggi Villa Sciarra è una delle ville più belle di Roma, dall’aspetto grazioso e con un curato giardino pubblico con numerose fontane tra cui quella dei Satiri, collocata a lato dell’uccelliera, in un articolato gioco di nicchie, è l'unico elemento proveniente dalla Villa Visconti di Brignano d’Adda, ricostruita nella sua interezza a Villa Sciarra. La fontana, composta da un articolato gruppo di satiri e satirelli che sorreggono una grande conchiglia, è coronata da un putto che esce dalle fauci di un biscione, allusivo allo stemma araldico della famiglia Visconti.

22 novembre 2012

La statua di Wojtyla


Quando si studia storia dell’arte sui libri di scuola e magari si riesce a fare qualche gita culturale con la propria classe, spesso si vedono dipinti, palazzi e statue antiche, di Canova od altri artisti, ma si guardano con occhio critico o con l’idea di gente del passato con gusti antichi e fuori moda. Chissà cosa penserebbero gli studenti odierni se andassero in gita a vedere statue di artisti contemporanei che dovrebbero, a rigor di logica, essere “connessi” in maniera perfetta con i gusti attuali.

Com'è                                                                Com'era
Qualche giorno fa è stata inaugurata, al termine dei urgenti lavori di risistemazione, la statua dedicata al beato Giovanni Paolo II in piazza dei Cinquecento, davanti la stazione Termini di Roma. I lavori non hanno richiesto nuove spese perché già compresi nei costi iniziali per la realizzazione dell’opera dell’artista Oliviero Rainaldi.
La prima versione del monumento aveva creato polemiche per la forma dell’opera: polemiche più o meno accettabili dato che ogni opera d’arte non può piacere a tutti, dato che l’artista ha la propria vena ispiratoria che non può essere incanalata da desideri altrui. I lavori di risistemazione hanno rinnovato la posizione della testa e l’espressione del volto di papa Wojtyla, l’apertura del mantello leggermente più ripiegato su se stesso ed un nuovo basamento in cemento corredato dalla cambiamento dell’illuminazione.

Tralasciando le polemiche suscitate dall’inaugurazione del 2011 il restauro (o rinnovamento) è stato necessario perché si manifestarono da subito una serie di imprevisti tra cui un problema statico, una fessurazione sul collo, e la patina che riemergeva. Si è intervenuti in modo da migliorare e cancellare tutte le imperfezioni presenti intervenendo fisicamente su questi problemi.


Ora restiamo in attesa di apprezzamenti o critiche (che sicuramente arriveranno) a questa nuova statua che arricchisce la grande famiglia di elementi architettonici della capitale. Chissà cosa ne pensa Canova?

21 novembre 2012

18 novembre 1626


Il 18 novembre 1626 fu consacrata la basilica di San Pietro in Vaticano da papa Urbano VIII, dopo 1300 anni dalla prima basilica, consacrata tra il 319 ed il 323 da papa Silvestro I alla presenza dell’imperatore Costantino.


Ma, a monte di questa consacrazione, va ricordata la costruzione della basilica vaticana i cui lavori iniziarono qualche anno prima nel 1602 sotto la direzione di Carlo Maderno che progettò di ampliare l’originaria basilica con una struttura architettonica longitudinale costituita da tre campate e da un portico in facciata. Praticamente il progetto di Michelangelo è totalmente superato in modo da far assumere alla basilica una struttura più ampia con una pianta a croce latina: le campate trasformano il profilo longitudinale con tre navate ed una serie di cappelle laterali coperte con cupole a pianta ovale.
Con la navata si rinnova anche la facciata realizzata in travertino senza l’avanzamento del pronao centrale: questo però rende la facciata troppo larga rispetto la sua altezza, perciò ad entrambi i lati sono realizzati due campanili (opera di Gian Lorenzo Bernini).

La consacrazione, però, si fa ancora più partecipata verso sera quando la nuova basilica fu illuminata lungo la facciata e sul cupolone; furono disposti 400 lanternoni sui cornicioni, oltre a 791 fiaccole infilate su sostegni di ferro dai 700 Sampietrini che, oltre ad essere le pietre caratteristiche della pavimentazione stradale romana, erano anche gli operai tuttofare della basilica che si calarono con delle corde per l’accensione simultanea. Questa illuminazione costituì uno spettacolo talmente eccezionale che fu mantenuta anche per la ricorrenza della festa di San Pietro e poi in occasione del giubileo del 1925 e dal 1947 ad oggi.
L’illuminazione notturna ha contribuito a dare alla basilica un tono di monumentalità che non ha eguali a Roma e che può competere soltanto con la maestosità del Colosseo.

20 novembre 2012

Via Appia


Chiamata dai Romani Regina Viarum, regina delle strade, la via Appia Antica è la più famosa tra le strade consolari romane e, partendo da Porta San Sebastiano, si sviluppa lungo 9 chilometri fra pini marittimi e campi coltivati. La fece tracciare il censore Appio Claudio nel 312 a.C., probabilmente su una strada ancora precedente che portava ai Colli Albani che lui fece prolungare sino a Capua. Fu lastricata nel 258 a.C. e nel 190 a.C. fu ulteriormente prolungata fino a Brindisi.

Percorsi della via Appia. In rosso l'Appia Antica ed in blu l'Appia Traiana
Ancora utilizzata durante il Medioevo, la strada cadde poi in disuso e fu riaperta soltanto sotto Pio VI nel XVIII secolo. Solo in seguito nacque l’idea di trasformarla in parco archeologico, idea che si concretizzò verso la fine dell’Ottocento e che tuttora è in fase di perfezionamento.

Molti sono i resti degli edifici che accompagnano il percorso di questa strada, rendendola unica per fascino e interesse, infatti la prescrizione di seppellire i morti al di fuori delle Mura Aureliane, portò ad una progressiva edificazione lungo la via Appia di sepolcreti e mausolei, talora anche di sfarzo e grandezza monumentali, come nel caso della Tomba di Annia Regilla o della Tomba di Cecilia Metella, celebre monumento funebre, risalente agli ultimi decenni dell’età repubblicana che fu inglobato nel Medioevo nel Castello dei Caetani.

La bellezza e la quiete del luogo indussero anche alla costruzione di edifici sacri e di dimore principesche: così, agli inizi del IV secolo, a ridosso della via sorse l’ultimo Palazzo Imperiale di Roma antica, presso il quale trovarono posto il Circo di Massenzio e l’immancabile sepolcreto familiare, il Mausoleo di Romolo, dedicato appunto da Massenzio al figlio morto giovinetto e in cui furono sepolti anche gli altri membri della famiglia.

19 novembre 2012

Tempio di Adriano


Il Tempio di Adriano è un tempio che si trova in piazza di Pietra, che deve il suo nome proprio alla presenza dei resti dell'edificio, nell’antica regione del Campo Marzio.


Il tempio fu costruito in onore dell’imperatore Adriano, divinizzato dopo la sua morte, dal suo successore Antonino Pio nel 145. I suoi resti sono inglobati in un edificio del XVII secolo che in principio era una dogana vaticana e, nel 1831,  adibito a sede della Borsa Valori di Roma. L’edificio era in passato conosciuto erroneamente con il nome di tempio di Nettuno.

Il tempio era un periptero ottastilo (con 8 colonne sulla fronte) e presentava 13 colonne sui lati lunghi. Oggi rimangono solo 11 colonne corinzie, alte 15 metri, innalzate sopra un podio di peperino alto 4 metri, oggi interrato rispetto alla piazza per via dell’innalzamento del livello stradale.
Il muro della cella era in origine ricoperto di marmo, come dimostrano i fori di fissaggio delle lastre, ed i suoi resti sono visibili all’interno dell’edificio della Borsa.
Era circondato da una grande piazza porticata, con colonne di marmo giallo antico, che si apriva verso via Lata (ora via del Corso) con un arco trionfale identificato in quello definito “di Antonino”. L’arco, seppur rovinato e diroccato, dava ancora nel XVIII secolo il nome alla via dell’Archetto ma fu demolito proprio a causa delle precarie condizioni in cui versava: i rilievi riflettono la politica più pacifica di Adriano rispetto al suo predecessore, Traiano.

17 novembre 2012

Porta Latina

Porta Latina è una delle porte che si aprono nelle Mura Aureliane di Roma, è tra le più imponenti e meglio conservate dell’intera cerchia muraria ed il suo nome deriva da quello dell’omonima via che la attraversa e che, in epoca romana, era la strada per giungere fino a Capua.


Secondo una leggenda del XIV secolo  il nome deriverebbe dal fatto che qui si sarebbe nascosto (latens, appunto) il dio Saturno, in fuga dopo essere stato detronizzato dal figlio Giove.
La struttura della porta, che non ha subito interventi tali da alterare sensibilmente l’aspetto originario, è probabilmente sempre stata ad una sola arcata, che all’epoca della ristrutturazione della cerchia cittadina operata dall’imperatore Onorio nel 401 – 403fu sensibilmente ridotta, unica tra le porte aureliane, da circa 4,20 m di larghezza per 6,55 di altezza (la traccia della dimensione originale è ancora visibile) agli attuali 3,73 per 5,65 metri, probabilmente per motivi difensivi.
Al centro dell’arco, sul lato esterno, è tuttora visibile il monogramma di Costantino, mentre sul lato opposto è incisa una croce greca.

L’intero edificio, merlato, è affiancato da due torri a pianta semicircolare fornite di feritoie; quella sul lato destro fu però interamente riedificata da Onorio ed in seguito restaurata in epoca medievale. Ma anche l’altra subì un rimaneggiamento di un certo rilievo: lo dimostra la presenza delle feritoie per gli arcieri anziché i finestroni per le baliste, come nelle torri originarie di Aureliano. L’accesso alla camera di manovra era consentito attraverso una porticina, tuttora esistente e funzionante, sul lato interno della torre di destra: la chiusura esterna era a saracinesca, mentre quella interna a due battenti.

Non molto fortunata, la porta fu chiusa per interramento prima dal re Ladislao di Napoli nel 1408, insieme alla Porta Asinaria, durante l’occupazione della città (ma fu riaperta dopo solo quattro mesi), poi nel 1576 e nel 1656 in occasione, per entrambe le circostanze, di una pestilenza (grave in quasi tutta Italia la seconda). In quest’ultima circostanza trascuratezza o lungaggini burocratiche la tennero chiusa per ben 13 anni, fino all’intervento risolutore del cardinal Giulio Gabrielli che il 5 maggio 1669 la fece riaprire con una solenne cerimonia.

A parte le epidemie, un valido motivo del declino della porta fu la progressiva perdita d’importanza della via Latina a favore della vicina via Appia Nuova, né la vicinanza dell’importante Chiesa di San Giovanni a Porta Latina riuscì a frenarne la crisi. La porta fu riaperta solo nel 1911, dopo essere riuscita a bloccare anche le truppe italiane che, nel settembre 1870, avevano tentato di aprire qui, prima ancora che a Porta Pia, una breccia.

16 novembre 2012

Ponte Cestio


Ponte Cestio, noto anche come pons Aureliuspons Gratiani, ponte di San Bartolomeo o ponte Ferrato, è un ponte che collega il lungotevere degli Anguillara a piazza di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, a Roma, nei rioni Ripa e Trastevere.


Ponte Cestio nel 1880 circa
Il ponte fu costruito simmetricamente a quello Fabricio, dal pretore Gaio Cestio nel  44 a.C., oppure da Lucio Cestio l’anno successivo. Subì un primo restauro nel 152, ma, grazie alla decisione degli imperatori Valeriano I, Valente e Graziano fu completamente ricostruito nel 370 con materiali di reimpiego, provenienti anche dal vicino Teatro di Marcello; quest’ultimo diede un nuovo nome al ponte. Un altro restauro, documentato da un’epigrafe, si ebbe nel 1191-93 da parte di Benedetto Carissimi.

A causa dell’ampliamento del lato destro del Tevere, fu semi-demolito nel 1888 (fu salvata l’arcata centrale) e ricostruito nel 1892 con parte del materiale lapideo originale.

Il ponte è costituito da tre arcate, con una lunghezza complessiva di ottanta metri e quaranta. Il ponte romano misurava quarantotto metri e mezzo, con una sola grande arcata affiancata da due fornici minori.

Ponte Cestio (a sinistra)

In questi giorni il Tevere ha raggiunto i 13,5 m di piena e la foto seguente mostra la situazione al Ponte Cestio.


15 novembre 2012

Ludus Magnus


Il Ludus Magnus era la principale sede e palestra dei gladiatori a Roma, collocata nei pressi del Colosseo, nella valle tra l’Esquilino e il Celio.
Fu una delle quattro caserme (ludi) costruite dall’imperatore Domiziano (comprendenti anche il Gallicus, il Matutinus e il Dacicus), ed è l’unica oggi parzialmente visibile.


Nell’area si trovavano precedentemente una domus tardo-repubblicana e un’insula della prima età imperiale, distrutte nell’incendio neroniano. La struttura domizianea fu fondata nell’interro sovrapposto ai resti dell’incendio. La fase attualmente visibile si riferisce ad un restauro avvenuto sotto Traiano, che comportò la demolizione e ricostruzione di parte dell’elevato, probabilmente per motivi statici.

In epoca tardo-antica l’edificio dovette essere nuovamente restaurato e la cavea fu sostenuta con una serie di muri radiali in opera listata; altri ambienti con muri in tufo furono ricavati nella testata del portico all’angolo nord-occidentale. 
L’abbandono dell’edificio si data a partire dal VI secolo, quando esso fu utilizzato come area per modeste sepolture.
I resti della metà settentrionale del complesso furono rimessi in luce nel 1937, in occasione degli scavi per la costruzione di un nuovo edificio tra via di San Giovanni in Laterano e via Labicana.


L’edificio, che doveva avere tre piani, aveva una pianta simile a quella conosciuta per altre caserme, con stanze di alloggio e servizi intorno ad uno spazio centrale ed era circondato da un portico di colonne in travertino. I percorsi interni erano assicurati da un corridoio alle spalle degli ambienti e dalle scale per i piani superiori, disposte agli angoli; su uno dei lati corti una grande aula con porticato interno era forse adibita a sacello per il culto imperiale.

Il cortile centrale era occupato dall’arena per gli allenamenti, realizzata come copia a scala ridotta di quella del Colosseo (con un rapporto di 1:2,5). Vi si dovevano anche svolgere rappresentazioni aperte al pubblico e la cavea, accessibile da scale esterne, poteva ospitare 3.000 persone, con palchi per le autorità al centro dei lati lunghi.
Un passaggio sotterraneo, individuato nel 1939, permetteva di accedere direttamente ai sotterranei del Colosseo, al di sotto dello spazio lastricato che separava i due edifici.

14 novembre 2012

Palazzo Altemps


Il Palazzo Altemps sorge a poca distanza da Piazza Navona e fu il conte Girolamo Riario, nipote di Sisto IV e marito di Caterina Sforza, a commissionarne all’architetto Baldassarre Peruzzi la costruzione su edifici precedenti di epoca medievale.
 

Il palazzo deve il suo nome al cardinale Marco Sittico Altemps che lo acquistò nel 1568 e ne fece la sua dimora romana. Tra il 1577 e il 1595 apportò notevoli trasformazioni all’edificio tra cui la realizzazione dell’altana posta nell’angolo verso piazza S. Apollinare, sormontata da quattro guglie piramidali e coperta da una cupola su cui c’è un ariete rampante, simbolo della famiglia Altemps.
Nel 1887 il palazzo divenne proprietà della Santa Sede ed ospitò il Pontificio Collegio Spagnolo. 
Nel 1982 fu acquistato dallo Stato e, dopo un lungo restauro, è stato adibito a sede del Museo Nazionale Romano, ospitando quello che rimane della collezione Altemps ed altre importanti collezioni di opere antiche, quali la collezione Boncompagni Ludovisi, la collezione Mattei, la collezione Del Drago e la raccolta egizia che costituisce una delle più significative testimonianze sulla diffusione dei culti egizi a Roma.

Il palazzo presenta una pianta ad L a tre piani con finestre a cornice semplice al primo piano, architravate con balconi al secondo e con architrave al terzo.
L’edificio conserva parte degli affreschi e delle decorazioni originari che si possono ammirare soprattutto nella loggia e nella chiesa dedicata a papa Sant’Aniceto.
Dal portale si entra nel cortile decorato con gli stemmi Altemps e Orsini e al cui centro c’è una bellissima fontana con un mosaico realizzato con sassolini e conchiglie marine.
Il cardinale Altemps fu un grande collezionista di opere d’arte antica, favorito nell’acquisto di esse dall’amicizia con papa Clemente VII, che egli aveva appoggiato nella sua ascesa al soglio pontificio. In segno di gratitudine, Clemente VII fece altresì dono agli Altemps di una preziosa reliquia: il corpo del pontefice sant’Aniceto, che, caso unico di sepoltura privata di un papa, fu traslato nella cappella del palazzo.

13 novembre 2012

Fontane di Roma: Fontana della Navicella


La Fontana della Navicella si trova di fronte alla chiesa di Santa Maria in Domnica, sul Celio, e fu costruita intorno al 1518, durante il pontificato di Leone X Medici.


In epoca romana nei pressi del colle Celio sorgevano i Castra misenatium, il quartiere del reparto di marinai della flotta di stanza a Capo Miseno, il cui principale incarico, quando non era impegnato in attività militari in mare, era quello di manovrare il velarium, l’enorme tenda che copriva il Colosseo e che, manovrato da un sistema di funi e carrucole, serviva a riparare il pubblico dal sole e dalle intemperie durante lo svolgimento degli spettacoli.
Secondo la tradizione i marinai del castra avrebbero fatto realizzare un modello marmoreo di una barca, per offrirlo come ex voto alla dea Iside, protettrice dei naviganti. Un’altra versione attribuisce la paternità dell’ex voto ai soldati del Castra peregrina (alloggi riservati, tra l’altro, ai militari di passaggio a Roma) per ringraziare la dea per uno scampato naufragio.
Andato perduto durante il Medioevo, i resti del modello furono ritrovati all’inizio del XVI secolo nei pressi della Basilica di Santa Maria in Domnica. Prima che andassero di nuovo definitivamente perduti, papa Leone X incaricò lo scultore Andrea Sansovino di farne una copia che fu collocata davanti all’entrata della chiesa, inizialmente posizionata con la prua rivolta al porticato della stessa, adagiata su un’alta base rettangolare ornata con le insegne papali ed un’epigrafe celebrativa.
Si tratta della rappresentazione, in marmo bianco e travertino, di una galera romana, poggiata su due scalmi. Il ponte è delimitato da un corrimano sostenuto da nove mensole alternate ad altrettanti boccaporti. Particolarmente caratteristica la testa di cinghiale posta a decorazione della prua della nave, mentre sulla poppa è riprodotto il castello.

Soltanto nel 1931, quando ormai tutta la città era servita dagli acquedotti, un ramo secondario dell’Acqua Felice fu collegato alla scultura, che fu quindi restaurata, orientata nella posizione attuale (con la prua verso il centro storico della città) e trasformata in fontana, con l’aggiunta di una piscina sottostante a livello stradale, di forma ovale, ornata da un mosaico con figure di pesci e imbarcazioni, inserita in un'area di rispetto rettangolare bombata sui lati minori. L’acqua fuoriesce da uno zampillo al centro del ponte, da cui precipita nella piscina scorrendo lungo le murate.

Nel 2005 ha subito un grave atto vandalico nella zona di prua ma l’intervenuto è stato effettuato con successo.

12 novembre 2012

Area Sacra di Torre Argentina

L’Area Sacra di Largo Argentina è compresa tra via di Torre Argentina e Largo Argentina e fu inaugurata nel 1929 da Benito Mussolini, dopo i lavori eseguiti nella zona tra il 1926 ed il 1928: da allora la sua sistemazione non ha subito modifiche di rilievo.


Nell’area si trovano quattro templi di periodo repubblicano dall’incerta identificazione e che convenzionalmente sono indicati con le lettere dell’alfabeto A-B-C-D.
Il più antico dei quattro templi, il tempio C, fu costruito tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. e, posto su un podio di tufo preceduto da una scalinata, era dedicato probabilmente alla dea Feronia. 
Segue cronologicamente il tempio A, il primo sul lato nord, risalente alla metà del III secolo a.C. e restaurato ai tempi dell’imperatore Domiziano: l’edificio ha subito diverse trasformazioni nel corso dei secoli, fino ad essere inglobato nella Chiesa di S. Nicola de’ Calcarariis nel Medio Evo.

Successivamente, agli inizi del II secolo a.C., fu edificato il tempio D, oggi in parte coperto da via Florida. L’ultimo tempio, il tempio B, costruito alla fine del II secolo a.C., era dedicato probabilmente alla “Fortuna del giorno presente”. Accanto ad esso fu rinvenuta una statua di marmo e bronzo di divinità femminile.
Di fronte ai templi si trovava un portico, ora solo in parte visibile, identificato come Porticus Minucia Frumentaria ovvero il luogo dove avvenivano le distribuzioni gratuite di grano al popolo romano.
Tutta l’area si estende su lastricato di travertino risalente all’epoca dell’imperatore Domiziano.

11 novembre 2012

Basilica di Sant’Andrea della Valle

La Basilica di Sant’Andrea della Valle è caratterizzata dalla cupola, realizzata da Carlo Maderno, che è la terza in altezza della città di Roma, preceduta solo da quella della Basilica di San Pietro in Vaticano e dalla più recente cupola della chiesa dei Santi Pietro e Paolo: è detta “della Valle” perché è stata costruita vicino a Palazzo Valle.



La chiesa fu iniziata nel 1591 dall’Olivieri su disegno di Gian Francesco Grimaldi e di Giacomo Della Porta, mentre la facciata di travertino, di gusto tardo-barocco, fu realizzata dal 1655 al 1665 da Carlo Rainaldi che ampliò il progetto originario di Carlo Maderno.
Nel 1930 la piazza antistante la chiesa, che da questa prende nome, è stata ornata da una fontana realizzata nel 1614 da Carlo Maderno, proveniente dalla scomparsa piazza Scossacavalli, piazza distrutta per la conseguente creazione di via della conciliazione.


L’interno, che si rifà alla chiesa del Gesù, è costituito da una sola enorme navata con un breve transetto e sei cappelle laterali comunicanti fra loro. Si possono ammirare bellissimi affreschi sulla cupola e sull’abside eseguiti dai maggiori artisti del tempo quali Giovanni Lanfranco di Parma che, nel 1625, produsse il bellissimo affresco della “Gloria del Paradiso” sul soffitto della cupola e “S. Andrea Avellino” sull’altare alla destra del transetto e il Domenichino che, nel 1621, pitturò nella parte inferiore della cupola i quattro “Evangelisti”, e tre anni dopo preparò gli affreschi nella zona del coro e dell’abside con le storie del santo al quale la chiesa fu dedicata.
Tra le cappelle, tutte importanti per i decori che le caratterizzano, da sottolineare la Cappella Rucellai, e la Cappella Barberini con le statue di San Giovanni Battista di Pietro Bernini e la Santa Marta di Francesco Mochi.

Nei vestiboli spiccano due monumenti sepolcrali, qui trasferiti dall’antica basilica di San Pietro nel 1614, entrambi appartenenti a due papi Piccolomini, Pio II e Pio III, rispettivamente opera di Andrea Bregno e di Sebastiano di Francesco Ferrucci.

4 novembre 2012

L'abete di San Pietro


Come da parecchio tempo, anche quest’anno il presepe di piazza San Pietro sarà abbellito da un abete proveniente da una specifica nazione del mondo: non si fa distinzione tra Paese industrializzato o Paese del Terzo Mondo, tra metropoli o villaggio... la partecipazione è aperta a tutti.

Il 5 dicembre prossimo sarà prelevato dalla sede naturale e trasportato a Roma un abete pescolano, proveniente cioè dal comune montano di Pescopennataro, in provincia di Isernia, in occasione dei festeggiamenti del Santo Natale: il paese, non a caso, è detto “Paese degli Abeti” per la presenza sul suo territorio dell’abete bianco. L’abete è alto 28 metri, ha un’apertura dei rami alla base di 12 metri ed è stato individuato in località “Bosco Abeti Soprani” che è un Sito di Importanza Comunitaria con superficie complessiva di oltre 3.000 ettari.

Bosco Abeti Soprani
Il signor Pompilio Sciulli, sindaco del piccolo paesino (poco più di 300 abitanti), è talmente soddisfatto della scelta che la definisce come un sogno che si realizza dopo tanti anni di attesa, dato che portare un abete in Vaticano era uno degli obiettivi da lui prefissato quando fin da quando fu eletto nel 2004. L’invio a Roma di tutti i documenti, con la speranza di essere scelti, e quest’anno finalmente la notizia è arrivata: Pescopennataro, anche se uno dei più piccoli d’Italia, fornirà l’abete... e pensare che l’anno scorso l’abete arrivò dall’Ucraina.

Se la commissione esaminatrice ha accettato la richiesta del comune di Pescopennataro, vuol dire che l’abete è bellissimo, e questo non può essere campanilismo paesano, dato che l’albero deve rispondere a canoni e criteri precisi, altrimenti non può partire per il Vaticano.

La cerimonia per l’addobbo e l’accensione si svolgerà il 14 dicembre in piazza San Pietro ed il sindaco conferma la partecipazione massiccia della comunità pescolana per vivere un’emozione che resterà unica per il Molise per molti e molti anni.

1 novembre 2012

Catacombe di San Callisto


Le catacombe di S. Callisto sono tra le più antiche, meglio conservate ed importanti di Roma. In esse trovarono sepoltura decine di martiri, 16 pontefici romani del III secolo e moltissimi cristiani.
Si trovano sulla via Appia Antica, dopo la chiesetta del “Quo Vadis” e sorsero verso la fine del II secolo prendendo nome dal diacono S.Callisto, che, all’inizio del III secolo, fu nominato dal Papa S. Zefirino all’amministrazione del cimitero.
Divenuto a sua volta pontefice, Callisto ingrandì il complesso funerario e così le catacombe di S. Callisto divennero il cimitero ufficiale della Chiesa di Roma.


Le vastissime catacombe, che si sviluppano su quattro livelli per un totale di circa 20 km di gallerie, mostrano una vasta serie di cubicoli e di ipogei decorati con affreschi solo in parte conservati: vi si accede tramite un ripido scalone e, passando per la “cripta dei papi”, il luogo più sacro ed importante, chiamato anche “il piccolo Vaticano” perché vi sono sepolti 16 pontefici romani del III secolo, si accede, mediante una piccola apertura, alla cripta di Santa Cecilia tutta decorata con affreschi e mosaici.
Sulla parete vicino alla statua, copia della celebre opera del Maderno, c’è un’antica immagine di S. Cecilia del V-VI secolo. Da qui, nell’821, papa Pasquale I tolse le reliquie della martire per trasportarle in Trastevere nella basilica a lei dedicata.

Usciti dalla cripta di Santa Cecilia, si può scendere ad un ossario e poi passando attraverso imponenti gallerie, piene di loculi, si giunge a cinque stanzette (vere tombe di famiglia) dette “cubicoli dei Sacramenti” per i loro affreschi che alludono al Battesimo ed all’Eucarestia.
Dopo aver visitato il monumentale sarcofago detto di “San Milziade”, si arriva nella regione dei Santi Gaio ed Eusebio con alcune cripte distinte, una opposta all’altra, e successivamente in quella detta “liberiana” per tre iscrizioni del tempo di papa Liberio.

Infine si giunge ad un nucleo più antico, le “cripte di Lucina”, dove si trovano il sepolcro di papa Cornelio decorato da pitture in stile bizantineggiante e, vicino, due affreschi che raffigurano uno, “Il Buon Pastore e orante” e l’altro due pesci con due cesti pieni di pane simbolo dell’Eucarestia.