6 ottobre 2011

Il Pantheon

Il Pantheon ("tempio di tutti gli dei") è un edificio di Roma antica, costruito come tempio dedicato alle divinità dell'Olimpo. Gli abitanti di Roma lo chiamano amichevolmente la Rotonna, o Ritonna ("la Rotonda"), da cui anche il nome della piazza antistante. Fu fatto ricostruire dall'imperatore Adriano tra il 118 e il 128 d.C., dopo che gli incendi del 80 e del 110 d.C. avevano danneggiato la costruzione precedente di età augustea.


All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in basilica cristiana, chiamata Santa Maria ad Martyres, il che gli ha consentito di sopravvivere quasi integro alle spoliazioni apportate agli edifici della Roma classica dai papi.

Il primo Pantheon fu fatto costruire nel 27-25 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa, amico e genero di Augusto, nel quadro della monumentalizzazione del Campo Marzio, affidandone la realizzazione a Lucio Cocceio Aucto.
L'iscrizione originale di dedica dell'edificio recita: M.AGRIPPA.L.F.COS.TERTIVM.FECIT ("Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, edificò"); il terzo consolato di Agrippa risale appunto all'anno 27 a.C..
Dai resti rinvenuti a circa 2,50 metri sotto l'edificio alla fine del XIX secolo, si sa che questo primo tempio era di pianta rettangolare (metri 43,76x19,82) con cella disposta trasversalmente, più larga che lunga, costruito in blocchi di travertino rivestiti da lastre di marmo. L'edificio era rivolto verso sud, in senso opposto alla ricostruzione adrianea, preceduto da un pronao sul lato lungo che misurava in larghezza 21,26 metri. Davanti ad esso si trovava un'area scoperta circolare, una sorta di piazza che separava il tempio dalla basilica di Nettuno, recintata da un muretto in opera reticolata e con pavimento in lastre di travertino. Sopra queste lastre vennero poi posate altre in marmo, forse durante il restauro domizianeo.

L'edificio di Agrippa aveva comunque l'asse centrale che coincideva con quello dell'edificio più recente e la larghezza della cella era uguale al diametro interno della rotonda. Dalle fonti sappiamo che i capitelli erano realizzati in bronzo e che la decorazione comprendeva delle cariatidi e statue frontonali. Il tempio si affacciava su una piazza (ora occupata dalla rotonda adrianea) limitata sul lato opposto dalla basilica di Nettuno.
L'edificio fu decorato dall'artista neoattico Diogenes di Atene e distrutto dal fuoco nell'80; restaurato sotto Domiziano subì una seconda distruzione sotto Traiano.

L'edificio è costituito da un pronao collegato ad un'ampia cella rotonda per mezzo di una struttura rettangolare intermedia.


Il pronao, ottastilo (con otto colonne di granito grigio in facciata), misura m 34,20x15,62 m ed era innalzato di m 1,32 sul livello della piazza per cui vi si accedeva per mezzo di cinque gradini. L'altezza totale dell'ordine è di 14,15 m e i fusti hanno 1,48 m di diametro alla base.
Il frontone doveva essere decorato con figure in bronzo, fissate sul fondo con perni: dalla posizione dei fori rimasti si è ipotizzata la presenza di una grande aquila ad ali spiegate.

All'interno, due file di quattro colonne dividono lo spazio in tre navate: quella centrale più ampia conduce alla grande porta di accesso della cella, mentre le due laterali terminano su ampie nicchie che dovevano ospitare le statue di Augusto e di Agrippa qui trasferite dall'edificio augusteo.
I fusti delle colonne erano in granito grigio (otto in facciata) o rosso (otto, distribuite nelle due file retrostanti), provenienti dalle cave egiziane, ed anche i fusti dei porticati della piazza erano in granito grigio, sebbene di dimensioni inferiori. I capitelli corinzi, le basi e gli elementi della trabeazione erano in marmo bianco proveniente dalla Grecia. Il timpano (che non è calibrato secondo la proporzione canonica greca) è divenuto liscio per l'avvenuta perdita della decorazione bronzea, di cui però si vedono ancora i fori per i supporti che la sostenevano. Il tetto a doppio spiovente è sorretto da capriate lignee, sostenute da muri in blocchi con archi poggianti sopra le file di colonne interne.

Il pronao è pavimentato in lastre di marmi colorati che si dispongono secondo un disegno geometrico di cerchi e quadrati. Anche i lati del pronao sono rivestiti in marmo.
L'esterno della rotonda nasconde la cupola per un terzo, costruendo un corpo cilindrico che altro non è che la continuazione in verticale del tamburo. Tra cupola e muro esterno è così racchiusa un'ampia intercapedine dove sono state ricavate un doppio sistema di camere finestrate, organizzate su un corridoio anulare, che ha anche la funzione di alleggerire il peso delle volte.

Nicchia con la tomba del re Vittorio Emanuele III

Lo spazio interno della cella rotonda è costituito da un cilindro coperto da una semisfera. Il cilindro ha altezza uguale al raggio (21,72 m) e l'altezza totale dell'interno è uguale al diametro (43,44 m).
Al livello inferiore si aprono sei ampie nicchie distile (con due colonne sul fronte), a pianta alternativamente rettangolare (in realtà trapezoidale) e semicircolare, più la nicchia dell'ingresso e l'abside. Questo primo livello è inquadrato da un ordine architettonico con le colonne in corrispondenza dell'apertura delle nicchie e lesene nei tratti di parete intermedi, che sorreggono una trabeazione continua. Solo l'abside opposta all'ingresso è invece fiancheggiata da due colonne sporgenti dalla parete, con la trabeazione che gira all'interno come imposta del catino absidale a semicupola.




La cupola, del diametro di 43,44 m, è decorata all'interno da cinque ordini di ventotto cassettoni, di misura decrescente verso l'alto, tranne nell'ampia fascia liscia più vicina all'oculo centrale, di 8,92 m di diametro. L'oculo, che dà luce alla cupola, è circondato da una cornice di tegoloni fasciati in bronzo fissati alla cupola, che forse proseguiva internamente fino alla fila più alta di cassettoni. Una tradizione romana, vuole che nel Pantheon non penetri la pioggia per il cosiddetto "effetto camino": in realtà, è una leggenda legata al passato quando la miriade di candele che venivano accese nella chiesa, produceva una corrente d'aria calda che saliva verso l'alto e che incontrandosi con la pioggia la nebulizzava, annullando pertanto la percezione dell'entrata dell'acqua.
La realizzazione fu resa possibile grazie ad una serie di espedienti che contribuiscono all'alleggerimento della struttura, dall'utilizzo dei cassettoni, all'uso di materiali via via sempre più leggeri verso l'alto: nello strato più vicino al tamburo cilindrico abbiamo strati di calcestruzzo con scaglie di mattoni, salendo troviamo calcestruzzo con scaglie di tufo, mentre nella parte superiore, nei pressi dell'oculo troviamo calcestruzzo confezionato con inerti tradizionali, miscelati a lava vulcanica macinata.

1 ottobre 2011

Il Carcere Mamertino

Il Carcere Mamertino o Tulliano (il latino Carcer Tullianum) è il più antico carcere di Roma e si trova nel Foro Romano. Consisteva di due piani sovrapposti di grotte scavate alle pendici meridionali del Campidoglio a fianco delle Scale Gemonie, verso il Comitium. La più profonda risale all'età arcaica (VIII - VII secolo a.C.) ed era scavata nella cinta muraria di età regia che, all'interno delle Mura serviane, proteggeva il Campidoglio; la seconda, successiva e sovrapposta, è di età repubblicana.
Si trova al di sotto della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, del XVI secolo, in un'area del Foro dove, in età romana, si amministrava la giustizia.

Il Tullianum fu realizzato sotto Anco Marzio nel VII secolo a.C., anche se deve il suo nome ad altre tradizioni che lo collegano all'iniziativa di Servio Tullio o di Tullo Ostilio.
La cristianizzazione del complesso è databile attorno all'VIII secolo, periodo al quale rimontano le tracce di un affresco rinvenuto nel Tullianum, ed entrambi gli ambienti furono convertiti in cappelle. In questo stesso periodo il luogo cominciò ad essere chiamato Carcere Mamertino.

 
La facciata attuale, in blocchi bugnati di travertino, risale all'inizio dell'età imperiale ed ha una cornice (parzialmente originale) con i nomi incisi dei consoli Rufinio e Nerva. Questa facciata copre una più antica, costruita in blocchi di tufo di Grotta Oscura.
Da un'aperture forse fatta in epoca moderna, si entra in una stanza trapezioidale coperto da volta a botte, realizzata in opera quadrata con grossi blocchi di tufo di Monteverde e rosso dell'Aniene, per questo databile al II secolo a.C., quando tali cave erano in uso. L'ingresso originario doveva essere attraverso la porticina murata posta a livello più alto del piano di calpestio attuale, nella parete destra. Da questa porticina si accedeva anche alle Lautumiae, ambienti ricavati nelle antiche cave di tufo pure usati come prigione.

Un foro nel pavimento, oggi chiuso da grata, era l'unico accesso all'ambiente sottostante, oggi raggiungibile tramite una scala recente. La parte inferiore era detta Tullianum ed era quella più segreta e terribile: aveva forma circolare (tranne un segmento ad est) realizzato in opera quadrata con blocchi di peperino senza cemento. Le dimensioni della muratura hanno fatto pensare che originariamente dovesse trattarsi di una fontana monumentale costruita intorno ad una cisterna (tullus), dove l'acqua filtra naturalmente tutt'oggi. Qui venivano gettati e poi strangolati i prigionieri di Stato, alla fine della processione del trionfo dei vincitori romani: ciò accadde, tra gli altri, a Giugurta ed a Vercingetorige.

La testimonianza cristiana medioevale fece della cella più bassa, resa accessibile mediante una strettissima scala, e della fonte d'acqua il luogo in cui gli apostoli Pietro e Paolo, qui imprigionati, battezzavano i convertiti cristiani compagni di cella.
La tradizione risale al medioevo e permise la conservazione del carcere che fu trasformato in una chiesa (San Pietro in carcere) nel IV secolo per volere di papa Silvestro I e luogo di pellegrinaggio.




La leggenda vuole che san Pietro, scendendo nel Tullianum, cadde battendo il capo contro la parete lasciando in tal modo la propria impronta nella pietra (dal 1720 protetta da una grata). Rinchiusi nella segreta, assieme ad altri seguaci, i due apostoli fecero scaturire miracolosamente una polla d'acqua e riuscirono a convertire e battezzare i custodi delle carceri, Processo e Martiniano, martiri a loro volta. I due apostoli non furono in ogni caso uccisi nelle vicinanze perché san Pietro fu condotto sul colle Vaticano e san Paolo alle Acque Salvie (l'attuale Abbazia delle Tre Fontane).