11 marzo 2013

Il Pulcino della Minerva


I Romani amano dare soprannomi a cose, persone e perfino alle statue: pulcino della Minerva è un modo bizzarro per chiamare il piccolo elefante di pietra che regge l’obelisco situato in una piazza alle spalle del Pantheon. Il monumento fronteggia la bella chiesa medievale di Santa Maria sopra Minerva (affidata ai domenicani) che deve il suo nome al fatto di essere stata edificata sui resti di un antico tempio dedicato a Minerva, la dea della sapienza.


Nel 1665, nel giardino di proprietà del convento annesso alla chiesa, fu rinvenuto un piccolo obelisco, alto circa 5 metri e mezzo, con iscrizioni in geroglifici sui quattro lati, proveniente dall’Iseum, un enorme luogo di culto dedicato alle dee Iside e Serapide; papa Alessandro VII decise di farlo erigere davanti alla chiesa. Per poter scegliere una base per il monumento diversi architetti di fama sottoposero i loro progetti ad una commissione papale, ed uno di essi era il prete domenicano Padre Domenico Paglia.
Secondo il suo progetto, l’obelisco avrebbe dovuto poggiare su sei piccoli colli (gli stessi “montini” che apparivano nello stemma di famiglia dei Chigi, a cui Alessandro VII apparteneva), con un cane a ciascuno dei quattro angoli in rappresentanza dei domenicani, chiamati Domini canes, cioè “i cani del Signore”, per sottolinearne la fedeltà.
Il papa respinse il progetto, poiché ciò a cui mirava non era un monumento autocelebrativo, ma un simbolo della Divina Saggezza, che richiamasse l’antico significato di quel luogo.
Fu dunque interpellato Gianlorenzo Bernini perché ideasse una base adatta all’obelisco e, dei suoi molti disegni presentati, fu scelto l’elefante, quale rappresentazione simbolica della forza: “...è necessaria una robusta mente per sorreggere una solida sapienza” dice l’iscrizione su uno dei lati del monumento.

Nel suo progetto originale però l’animale non aveva alcun sostegno, quindi il peso dell’obelisco avrebbe gravato interamente sulle zampe dell’elefante. Ma padre Paglia, piuttosto invidioso dopo che la sua idea era stata scartata, obbiettò in accordo con i canoni classici che “nessun peso perpendicolare avrebbe dovuto poggiare sul vuoto perché non sarebbe stato solido né durevole”, quindi sarebbe stato necessario inserire un cubo di pietra sotto il ventre dell’elefante.
Bernini si oppose fieramente a questa modifica, avendo già realizzato altre opere nelle quali elementi pesanti gravavano su spazi vuoti (un esempio di ciò è la sua famosa Fontana dei Fiumi a piazza Navona), ma il papa decise comunque che il supporto avrebbe dovuto essere aggiunto.
L’artista tentò allora di mascherare il rude cubo di pietra scolpendo un’elaborata gualdrappa dell’elefante che lo nascondesse, ma nonostante il tentativo la statua si mostrava in complesso molto appesantita.

Bernini, però, meditò una vendetta per castigare il domenicano che aveva osato sfidarlo e nella versione definitiva (1667) disegnò l’elefante in modo che puntasse le terga verso il vicino convento, con la coda leggermente spostata, come a salutare padre Paglia e gli altri frati!
Per questa ragione, la gente cominciò a chiamarla il Porcino della Minerva: in seguito, il nome mutò in Pulcino forse per un semplice motivo fonetico.

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